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CRITICA

Roggero Roggeri e Sara Mammana

Presentazione alla mostra "LA FORMA DELLA BELLEZZA - Luciano Regoli e la Scuola dell'Elba", Giugno 2018, Pienza.

 

“Alla fine siamo riusciti ad ucciderla.

Bravi, tutti.

Tutti insieme siamo riusciti in quello

che almeno 500 anni di storia dell’arte,

non avrebbero mai supposto.[…]

[…] Com’è successo?

Come è potuto succedere

che l’espressione più genuina del passaggio

tra il sentimento della natura e l’uomo,

che la traduce, si sia diluita, nel Novecento,

fino all’oblio di tutto ciò che concerne la pittura?”

È con queste amare e sarcastiche parole che il pittore Luciano Regoli, protagonista, assieme ad alcuni dei suoi allievi, della seconda edizione della mostra “La Forma della Bellezza”, apre il proprio libro dal titolo: “5000 km per vedere un orecchio. La Morte della Grande Pittura”, uno scritto programmatico nel quale l’artista avanza un’acuta analisi e un’approfondita riflessione sul ruolo e il significato della pittura figurativa attraverso i secoli fino a giungere alla triste constatazione che troppo spesso, nel contesto contemporaneo, questa forma d’arte è messa a tacere per l’avanzare, apparentemente inesorabile, dei nuovi linguaggi espressivi che il Novecento ha prodotto.

Tuttavia, fortunatamente, la morte della Grande Pittura, denunciata da Regoli, non è ancora del tutto avvenuta e viene da chiedersi che cosa renda, ancora oggi, la tradizione pittorica classica viva e attuale, e perché esistano tuttora, in realtà felici anche se rare, come La Scuola di Valle di Lazzaro, voluta fortemente dall’Artista, pittori che, in maniera alternativa rispetto alle varie forme dell’arte contemporanea, ricerchino ancora, nell’armonia delle forme e nella fatica dell’apprendimento delle tecniche antiche, il mezzo di espressione indispensabile per generare un’arte non obsoleta ma assolutamente al passo coi tempi.

Interessante notare come, di fatto, l’esperienza pittorica, se correttamente intesa, sia un’azione di ricerca sostanziale della Verità che accomuna ogni ambito dell’esistenza. L’uomo, sin dalle origini, rapportandosi con il mistero della natura e del proprio essere, per via empirica o metafisica, ha sempre cercato di colmare quella sete di conoscenza capace di mitigare e porre un freno a quel senso di vertigine esistenziale causata dall'Infinito che è in lui.

La pittura e quindi l’arte in senso lato, è stata ed è, tuttora, un modo assai complesso di catturare e toccare, seppur nella fugacità dell’azione esecutiva, il mistero più profondo dell’esistenza, in un momento in cui il genio creativo dell’artista, abbandonando la pesantezza del proprio Ego, si apre liberamente alla comprensione profonda della realtà e la sa tradurre, con tecnica e mezzi sopraffini, in un nuovo linguaggio che è sintesi perfetta tra apparenza e sostanza. È proprio questo intimo connubio che rende un dipinto o una scultura, una vera opera d’arte e non semplicemente una magistrale mimesi esecutiva del soggetto trattato fine a se stesso; in altre parole: è la capacità intima e ormai rara dell’ “artista-vate” di saper guardare oltre la mera superficie delle cose e trarne la vera essenza che può rendere un’opera un capolavoro che duri nel tempo.

Purtroppo nel mondo contemporaneo, il progressismo malato, nato dalla frenesia dello sviluppo tecnologico e dal dilagare di una vorace ottica consumistica, dettata dal capitalismo industriale, ha generato un’umanità sempre più incapace di fermarsi a comprendere e ad analizzare l’identità profonda della propria esistenza.

A distanza di migliaia anni, mai come adesso risulta difficile mettere in pratica il motto socratico : “Conosci te stesso”. “L’uomo non vive solo nel rapporto delle cose di cui ha bisogno o con gli altri uomini, ma anche in virtù del rapporto con se stesso”, l’autocoscienza è quindi condizione necessaria per perseguire la Verità ed evitare di cadere nel terreno facile dell’ignoranza, dei pregiudizi, delle credenze grossolane e degli slogan privi di valore. Come in preda a uno stordimento diffuso, gli uomini e quindi anche molti artisti del mondo d’oggi, confondono l’apparenza, che si limita solo alla superficie delle cose, con la sostanza, offrendo risposte effimere che rimangono di fatto incapaci di rendere autentica e armonica la nostra esperienza di vita.

Crediamo fermamente che, di fronte al diffondersi dell’ipocrisia e della mera apparenza, la ricerca di ciò che è autentico e quindi terapeutico per l’animo umano debba essere promossa, sostenuta e incoraggiata allo scopo di contrastare il dilagare incessante di una cultura nichilista e relativista. L’artista, e quindi l’arte da esso prodotta, non può perdere la propria funzione maieutica di medium essenziale per avvicinare l’umanità alla propria coscienza e quindi alla Verità.

Per queste ragioni, siamo estremamente lieti di ospitare l’esposizione delle opere di Luciano Regoli e della scuola da lui fondata sull'isola d’Elba, la Scuola di Valle di Lazzaro, che prende il nome dalla località omonima che sorge in una zona dell’entroterra elbano caratterizzata da una natura selvaggia e incontaminata.

Una specie di eremo in cui l’Artista, dopo aver ottenuto lusinghieri successi sia in Italia che all'estero, si rifugiò alla fine degli anni ’80 del novecento, in un periodo di particolare travaglio esistenziale e creativo. Egli, in quest’isola, luogo che assume, in questa vicenda, anche un forte significato simbolico, ritrovò gradualmente, affrontando un profondo percorso di conoscenza interiore, il senso vero della sua arte che credeva ormai smarrito, dopo anni di lotte e laceranti incomprensioni nei confronti delle nuove tendenze creative, tutte votate all'arrogante negazione della nostra grande tradizione figurativa e alla damnatio memoriae di quel finissimo corredo tecnico, indispensabile, invece, per affrontare, con qualche possibilità di successo, il cammino virtuoso tracciato dai grandi artisti che illuminarono il nostro glorioso passato. A lui, inizialmente solo, si unirono gradualmente e spontaneamente, nel corso degli anni, numerosi giovani artisti e aspiranti pittori provenienti da tutto il mondo, attratti in modo ineluttabile dal linguaggio figurativo, e trovarono in Regoli quel Maestro che, invano, avevano cercato fino a quel momento.

L’idea di questa esposizione nasce proprio per rendere omaggio a uomini come Regoli, che non si sono mai arresi al conformismo dilagante, mantenendo, nonostante le grandi difficoltà incontrate, salda la propria fede nelle capacità che ha l’artista, dopo un adeguato percorso di introspezione e di faticoso apprendimento tecnico, di poter diventare un eccelso tramite tra il mondo visibile e la nostra spiritualità.

L’Associazione Biagiotti per l’Arte ed i Curatori, sono assolutamente certi che coloro che amano emozionarsi e trarre energie e insegnamenti dalla “bella pittura”, non siano affatto pochi, anzi, nel mondo siano sempre più numerosi ma, sopraffatti dalle tesi moderniste, se ne stiano silenziosi, quasi vergognandosi dei propri gusti, aspettando che qualcuno, forse più coraggioso di loro, sfidi il dilagante conformismo e la critica allineata, ribadendo con forza, nello stupore generale, che la rinascita delle arti figurative non solo è possibile ma anche assolutamente necessaria.

Luciano Regoli e i suoi allievi rappresentano un piccolo, glorioso, drappello di uomini e donne che hanno avuto l’ardire, in nome e in difesa della nostra straordinaria tradizione pittorica, di sfidare il modernismo che tutto travolge e annienta con l’ottusa forza dei suoi dogmi, trascinando con se quel poco che ormai resta della nostra umanità. A loro, dobbiamo apprezzamento e profonda gratitudine soprattutto noi, che abbiamo il privilegio di vivere a Pienza, luogo che, più di ogni altro, rappresenta la perfetta sintesi tra la grandiosità di un passato ed un futuro che, se vuole essere vivibile, non può e non deve perdere di vista le proprie solide basi classiche.

Ci permettiamo quindi, giunti al termine della nostra presentazione e consapevoli della vitale importanza che ha il battersi sempre e comunque per le proprie idee, indipendentemente dall’esito che avrà la battaglia, di dedicare ai nostri temerari artisti, i bellissimi versi di Rostand che, al suo Cyrano, fa dire: “Chi sono tutti quelli? Ma siete mille e mille! Ah, sì, vi riconosco, nemici miei in consessi, menzogna, codardia, doppiezza, compromesso, lo so che alla fin fine voi mi darete il matto, che importa, io mi batto, io mi batto, io mi batto!”

Roggero Roggeri e Sara Mammana, Pienza, 2018

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