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CRITICA

Gian Luigi Rondi

Introduzione alla monografia "Luciano Regoli", 2004, Pacini Editore

Sono diventato amico di Luciano Regoli in uno dei momenti più difficili della mia vita, la perdita di mia madre. Per averla di nuovo attorno a me, ebbi l’idea di rivolgermi a molti dei miei amici pittori perché me ne facessero il ritratto. Sulla base, naturalmente, di alcune fotografie che detto loro a scegliere. Luciano Regoli, anziché sceglierne solo qualcuna fra le tante che io avevo radunato, le scelse tutte e non tardò a dotarmi di una sequenza di ritratti in cui mia Madre appariva in tutte le età e in tutte le fogge, nelle cifre di una verosimiglianza che mi commosse. Sia per le intuizioni psicologiche di cui Luciano aveva dato prova, “riscoprendo” mia Madre – che non aveva mai conosciuto – solo attraverso delle immagini fotografiche, sia per il talento di un artista che, come se ricordasse o rivivesse, era arrivato alla grande pittura trovandone le radici soprattutto in sé stesso.
Continuai così a rivolgermi a quel talento: per avere da lui ritratti di miei familiari e, più in là, anche miei, con l’occasione di alcune mie pubbliche attività. Seguendo poi con rinnovata attenzione quel suo cammino ch, all’insegna del figurativo più nobile, mi sembrava che si esprimesse in maniera più alta e compiuta specialmente quando, appunto, si indirizzava ai ritratti. Un’antologia che finiva per diventare galleria, una raccolta che diventava museo. Personaggi italiani e stranieri, figure singole, gruppi familiari. Con segni che, pur senza mai mutare, rivelavano con gli anni una maturazione stilistica ricercata, vissuta, meditata con una consapevolezza artistica sempre più fine e, spesso, perfino sofferta.
Mi accorsi un giorno che a Luciano però non bastava più la pittura. La coltivava, si sublimava al suo interno, ma qualcosa ancora gli mancava, la scrittura. Che realizzò, fondendola intimamente alla pittura, con l’occasione di certi suoi viaggi lontani da cui, scrivendo, seppe trarre dei diari poi illustrati come dei “giornali di bordo”. Un’altra faccia di un artista che, senza mai tradirsi, era comunque riuscito ad aggiungere altre corde al suo arco: nell’ambito sempre, però, dell’unicità delle sue ispirazioni creative.
In questo ambito ci si può attendere ancora molto da lui: come, ad ogni tappa, ci dimostra la sua pittura ma anche come, ad ogni svolta, ci dimostra la sua vita.


Gian Luigi Rondi, Roma, 20 Aprile 2004

 

Presentazione al libro "Il Pittore Volante", 1991, ERA Edizioni

Ho letto tanto, ho letto troppo. Adesso così ho smesso quasi del tutto la lettura dei romanzi, anche se me li mandano, con dedica degli amici, anche se vincono premi, anche se finiscono al cinema (allora soprattutto). Leggo ancora molta saggistica (non cinematografica, sono presuntuosi vaniloqui) e leggo – ma allora in modo quasi onnivoro – la diaristica. Un po’ per vendicarmi del mio diario, cui metto mano da cinquant’anni e che non assecondo mai nella sua bramosia di essere pubblicato, un po’ perché le storie inventate, che son costretto a sorbirmi quasi ogni giorno al cinema, non riescono ad attirarmi quanto quelle storie forse un po’ abbellite ma comunque vere che ci propongono i diari, sia se trattano del pubblico sia del privato. Ho letto perciò con gioia le pagine che seguono scritte da un amico, “il pittore volante” che credevo di conoscere bene e che, invece, riscoperto attraverso i suoi viaggi, i suoi giudizi, i suoi ricordi, mi si rivela se non proprio un’altra persona, almeno una persona diversa da come me l’ero intimamente costruita, con il suo carattere, i suoi pregi e forse anche qualche difetto.

Pagine avvincenti, qualcuna anche coinvolgente. Mi hanno interessato di più, e convinto, quelle di viaggio, le più diaristiche, appunto, e secondo la migliore tradizione dei viaggiatori: città, persone, località notissime o inusuali, valutazioni dirette (e spesso segrete) del proprio lavoro di pittore e di quanto che vi si muove attorno. L’effetto è sorprendente: si viaggia con l’autore, si finiscono per condividere i suoi giudizi, le sue reazioni. Pagine anche fini, scritte con finta improvvisazione, in realtà meditate, studiate, con la frase e il vocabolo sempre abilmente arrotondati. Quando il pittore-scrittore diventa poi anche critico, forse, qua e là, si espone a non farsi condividere certi suoi giudizi, spesso severi su questo o quel classico o più dissacratori del dovuto su una certa arte contemporanea “appesa” nei musei. Su certe persone e su certi ambienti invece esplode sulla pagina un’aggressività che potrebbe a tratti lasciare interdetti, ma che, al contrario, essendo frutto di un’onesta, precisa autonomia di giudizi sull'umano, funziona grazie a quella sua stessa soggettività che, pur un po’ meno condivisibile arriva a “stroncare” la Kunsthalle di Berna. Il pregio, anche questo, dei diari “veri”.

Gian Luigi Rondi

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